Mai in barca

Roberto Beccantini26 febbraio 2020

Là dove Omar chiuse la carriera e Diego l’aprì al mondo, Messi si è quasi «genio-flesso»: al giallo dell’arbitro e allo spirito di quei tempi. E così Napoli-Barcellona è terminata 1-1, con i quarti di Champions più lontani, sì, ma non proprio sulla luna. Il gol di Mertens, bello, aveva infiammato il San Paolo. Il pareggio di Griezmann, fin lì (e anche dopo) tra i meno brillanti, l’ha spento ma non ucciso.

Setien aveva regalato a Gattuso due pedine: De Jong mezzala quasi di punta, lui che all’Ajax faceva il regista, e Vidal ala. L’olandese ne è rimasto prigioniero, il cileno no: è fuggito dalle catene, ha lottato, ha protetto la Pulce. Sino all’isteria del rosso. Salterà il ritorno, come Busquets. E dal momento che a centrocampo sono contati – Arthur, prezioso il suo innesto, De Jong, Rakitic, l’ombra di sé stesso – mai dire mai.

Chissà cosa sarebbe successo se il Napoli avesse osato di più. Certo, per osare di più avrebbe probabilmente rischiato di più. Ma il calcio resta un mistero buffo: le occasioni più ghiotte (da Manolas e Insigne a Callejon, soprattutto) le ha prodotte la squadra del catenaccio, non il museo del tiki-taka (64% a 36%).

Orfano di Koulibaly, il Napoli ha dato il massimo. E uscito «Ciro», speronato da Busquets, non è che Milik si sia mosso male: pregiato, l’assist a Callejon. Il Barça aveva parecchi califfi ai box. E che disastro, Firpo, il vice di Jordi Alba. Un Barça molle, sterile, lento, con la zavorra delle risse intestine a togliergli la leggerezza dei gesti. Un po’ meglio nella ripresa, quando Vidal ha sguainato la scimitarra e la lampada di Messi diffuso piccole luci.

In generale: bigiotteria, non gioielleria. I blaugrana erano e rimangono favoriti. Gattuso non faccia calcoli: o la va o la spacca. E non pensi, in cuor suo, agli sprechi e alla «castità» che hanno bloccato la cronaca a un passo dall’impresa.

Le solite evasioni

Roberto Beccantini22 febbraio 2020

Il problema è sempre quello: gli attimi di evasione che prendono la Juventus dopo aver spaccato l’equilibrio e disarmato l’avversario. E’ stato un rigore «varista», questa volta, a riaprire una partita che i gol di Cristiano e Ramsey, senza trascurare l’abisso di censo, le avevano consegnato in pompa quasi magna. Insomma: il solito 2-1, le solite pause e un po’ di insolite luci (Ramsey, finalmente mezzala).

E così, di fronte alle rughe sapienti di Sacchi, colui che, con i lanzichenecchi olandesi, invase il nostro calcio e gli impose una nuova mentalità, la Juventus di Sarri non ha fatto né passi avanti né passi indietro. Sempre lì, a metà del guado, capace di fanciullesche amnesie e di ricami squisiti, come le azioni dei gol, il palo fuori schema di Dybala e la traversa del marziano.

Da Semplici a Di Biagio, la Spal ha opposto la dignità del cuore e delle gambe. Petagna, dopo una pedatina di Rugani a Missiroli, l’aveva recuperata dal dischetto, costringendo i campioni, «fuggiti» in branco a Lione, a tornare in fretta in caserma, ai posti di combattimento. Rientrava titolare, nel bunker di Madama, capitan Chiellini. Ancora arrugginito, certo, ma potrà sempre dire: uscito io, ecco l’immancabile frittatina.

Il possesso palla ha sfiorato la noia del possesso. Spazi permettendo, non si trascurino le scorciatoie: alludo ai due passaggi che hanno portato alla rete di Cristiano. Il primo, verticale, di Ramsey; il secondo, orizzontale, di Cuadrado. Non aveva mai vinto al Mazza, la Juventus: un pari e una sconfitta. Bentancur vice Pjanic incarna ormai più di una alternativa, anche se l’uruguagio e la squadra tutta devono migliorare la velocità di pensiero e il nitore dei tocchi.

Sotto, adesso, con Lione & Inter: le idi di marzo hanno fame.

Dea gratias

Roberto Beccantini19 febbraio 2020

L’Atalanta non annoia mai, e questo è un pregio. Diverte sempre, a volte persin troppo: e questo può non esserlo. Prendete il 4-1 al Valencia. Due gol di un terzino (Hateboer), uno segnato di destro da un mancino (Ilicic) e uno di Freuler, un centrocampista. Gasperini, che non prende mai appunti (uno, finalmente!), era partito senza centravanti. Viva la Spagna di antica memoria, dunque: ma una Spagna verticale, di arrembaggio e non di torello. Una roulette russa, piuttosto: quale la Dea è, spesso, in campionato e in Europa.

I quarti di Champions le si spalancano, così, libidinosi. Ma attenzione: non sarà una passeggiata. Gli spagnoli, di rimonte, se ne intendono. E se il Valencia non è il Real o il Barça, già a San Siro, pur in formazione largamente rimaneggiata, ha colto un palo e sprecato tre-quattro occasioni non inferiori, come nitore, a quella mangiatasi da Pasalic in avvio.

Questo, a voler fare i professorini. Se poi, viceversa, pensiamo alla storia dei duellanti, l’Atalanta merita solo ovazioni. Anche se Caldara, al rientro improvviso, non è ancora il Caldara che si spera ritorni. Anche se Palomino continua ad alternare blitz salgariani a omissioni letali. E anche se, in generale, l’obesità dello scarto aveva indotto a trascurare l’ingresso di Cheryshev.

O forse perché, semplicemente, esistono gli avversari. Per esorcizzare i quali Gasp si è dato a una mossa che, lì per lì, sembrava un insulto al buon senso: fuori un difensore (Caldara), dentro una punta (Zapata). Il merito della società e dell’allenatore è di aver trasformato un elenco di «cognomi» – salvo rare eccezioni come il Papu e Ilicic – in una squadra inglese che gioca in Italia, azzanna i rivali, si azzuffa con loro, rischia, morde e poi, alla fine, invita tutti al pub. E se per caso il destino non ha preso impegni, pure lui.